L’isola della libertà
La storia, nei decenni successivi all’insediamento, troverà a Carloforte di che intessere le trame più complesse: nel gennaio del 1793, dopo la rottura dei rapporti diplomatici tra il regno piemontese e la repubblica d’oltralpe, i francesi sbarcano sull’isola. Con il contingente è il rivoluzionario Filippo Buonarroti – animato da ideali libertari ispirati al Rousseau –, che assieme ai carlofortini redige una nuova Costituzione per l’Île de la Liberté, l’Isola della Libertà: si tratta della prima Costituzione repubblicana comparsa sul territorio italiano. Lo stesso Buonarroti, nel 1796, ne dà testimonianza mentre si difende al processo per la congiura di Babeuf: “Fu soprattutto all’Isola di San Pietro, chiamata in seguito Isola della Libertà, che raccolsi i più dolci frutti delle mie predicazioni. La Costituzione democratica che i suoi abitanti si diedero, della quale li aiutai a redigere le disposizioni, è un monumento eterno della loro saggezza”. La presenza dei francesi dura pochi mesi, da gennaio a maggio: tanto basta perché gli ideali rivoluzionari di libertà, fraternità e uguaglianza dividano la popolazione e si arrivi a disordini e conflitti accesi. Tornata alla normalità con l’arrivo della primavera, la piccola cittadina vedrà ricollocata nella piazza la statua che vi era stata eretta in onore del Re, e che durante il periodo travagliato appena passato era stata significativamente seppellita.
L’invasione barbaresca
Non passano molti anni dallo sbarco dei francesi, e l’isola è messa a ferro e fuoco dai pirati barbareschi per due giorni. Quando ripartono, dopo il saccheggio della città, gli aggressori portano con sé 950 carlofortini, i quali per cinque anni, dal 1798 al 1803, dovranno patire la schiavitù in Tunisia. Sperano, gli isolani rapiti, nell’intercessione delle grandi potenze europee, del papa Pio VI e soprattutto del grande Napoleone. E intanto i cinque anni della più sofferta lontananza diventano il terreno fertile dove seminare le storie che u Pàize ancora oggi racconta: l’amore del console americano a Tunisi, William Eaton, per la schiava Anna Porcile, che diviene questione di stato, per la quale lo stesso presidente Jefferson deve intervenire; l’amore di Sidi Mustafà, fratello del Bey di Tunisi, per la bella carlofortina Francesca Rosso, che da schiava diviene principessa col nome di Jenet Lela Béia, e mette al mondo Ahmed, il nuovo Bey, detto il Sardo. Il ritrovamento della statua lignea di una Madonna da parte di un giovane schiavo, la custodia del simulacro (probabilmente la polena perduta di una nave) e il suo trasferimento nell’isola dopo la liberazione, avvolgono della luce del miracolo la trama fitta delle storie nate in quel periodo, il cui racconto si tramanda stringendosi alle fattezze di quella che oggi è venerata dai carlofortini come la Madonna dello Schiavo. Portata in processione ogni anno il 15 novembre, tiene viva la memoria dei fatti storici del passato, oltreché la devozione degli isolani.
Ancora per anni le incursioni piratesche avrebbero tormentato la piccola città, prima della risoluzione definitiva del problema in tutto il Mediterraneo. A testimonianza della paura suscitata dalla comparsa all’orizzonte delle vele barbaresche, restano le torri di avvistamento, i fortilizi e ancora qualche tratto delle antiche mura di cinta nella parte alta del paese.