La stagione del sale iniziava in primavera con la preparazione, affidata a tre o quattro operai, e proseguiva con l’estrazione, tra agosto e settembre. Nel complesso sei mesi di durissimo lavoro, che sotto il sole d’estate vedeva all’opera uomini curvi a rastrellare il sale, raccoglierlo in piccoli cumuli, trasportarlo a spalle dentro le grandi ceste di vimini e scaricarlo ai margini delle vasche, fino a formare grandi piramidi bianche. Fatiche d’altri tempi, compensate a cottimo: mai paga fu così vicina al suo nome antico: “salario”.
Questo stesso lavoro, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, fu affidato ai mezzi meccanici, e la richiesta di manodopera durante la stagione diminuì drasticamente. Un intero mondo, fatto di aneddoti, personaggi, usanze, oggetti, si preparava a sparire.
Sin dall’antichità il sale ha avuto parte importante nella vita dell’isola, dove il deposito lasciato dall’evaporazione dell’acqua marina si raccoglieva già in epoca fenicia. Le saline carlofortine – delle quali si osservano a tutt’oggi gli impianti ormai dismessi a un passo dal paese – risalgono agli anni della prima colonizzazione degli esuli di Tabarka. È di fatto il periodo successivo al loro insediamento quello nel quale si inaugurò la produzione moderna, per quanto basata su tecniche ancora molto vicine a quelle dell’antichità. Più di un secolo doveva trascorrere da allora perché uno sfruttamento razionale della preziosa risorsa trovasse il proprio spazio sull’isola.